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al testo di Amina Narimi
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C’è ancora tanto da guardare. C’è il rumore con cui siamo partiti nascosto nella terra catturando i guizzi dei muscoli facciali col riflesso di parole in superficie di un'acqua più profonda
Dietro alla facciata delle case il non detto delle stanze, i corridoi, i vestiboli dell’intero corpo pesano persino più del mondo che si tocca Nel suo modo d’essere Originario hanno una grammatica privata un'oscura forma, le cose che noi siamo per non assassinare la magia Volevi mangiare i colori della vigna rossa, disinfettarti alla luce di ogni giorno, per scorticare la pelle con la sua dolcezza, fino a spezzarti, nel cielo, ricostruirti sugli alberi, tra i muri, sui volti che fanno
ti cerco come posso, dietro la schiena e sotto le suole. C’è un Prima -un flusso che attraversa lo stesso luogo che gesta le radici, nelle praterie della verità- catturato con lo sguardo, non c’è errore della vista, attraversando tanto spazio, se oggi diventa tonda la tua casa da lontano, tra realtà e vita. porto un sassolino, un fil di lana anch’io, dove mi siedo, insieme alle parole uscite via dal corpo
c’è così tanto da guardare leccando l’alfabeto di ogni fiore in cerca di salvezza. Sono due in uno con ali bagnate nella polvere, hanno un movimento circolare prima di cadere, nel profondo che trattiene, si fa eterno l’anima, prossima al vuoto, affollato di luce
è l’intreccio di silenzio e di vocali, la celebrazione, madre di se stessa, un divenire prima di spiccare il volo il sacrificio delle parole verso il corpo, che genera l’amore, al limitare della ragione, perché ancora da dirsi.. nel respiro
è da là che viene dentro, lo stupore, con altri occhi, della mente, e lo consegna in dono sulla lingua nell’attimo che tocca appena il fondo in una sola luce immaginale è l'hanami, di vita in vita, che risuona fino alla dimora del principio, che si apre, ancora senza nome, dove la sua voce è quella stanza con gli alberi, e tutti i fiori dentro. |
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